mercoledì 6 maggio 2009

L'incontro

Mi sveglio nel primo pomeriggio; ho fatto il turno di notte. La sveglia sul comodino segna le 14,30 del 6 agosto. Come tutte le volte in cui dormo a lungo sento in bocca un sapore di topo morto, e la testa pulsa per un mal di testa in procinto di arrivare.
L’aria è immobile, in questo soleggiato pomeriggio di agosto; dall’unica finestra di questo mio monolocale in affitto vedo la parete del condominio sull’altro lato della strada, di un finto marmo che una volta era bianco, ma ora sembra pulito solo più quando il sole gli batte direttamente sopra.
Il vecchio stereo trasmette solo scariche elettrostatiche, deve aver perso l’onda mentre dormivo.
Faccio una doccia, nella vana speranza di riuscire a dissipare un po’ lo stordimento che mi pervade, e miracolosamente questa volta l’espediente funziona. Quando esco dal bagno saturo di vapore mi sento sveglio, e decido di fare una passeggiata sotto il solleone.
Nella tromba delle scale manca l’aria, per il caldo e l’umidità, al quale si mescola l’odore di piscio del figlio della signora del secondo piano, che pare che quando gioca a pallone in cortile non riesca mai ad arrivare fino a casa sua per fare i bisogni.
Fortunatamente man mano che scendo gli scalini il calore che si accumula verso i piani alti si dirada lentamente, fino ad arrivare ad una parvenza di frescura.
La sensazione dura fino a che non apro la porta che da sulla strada: in quel momento tutti i 37 gradi dell’esterno mi assalgono ruggendo. Quasi quasi cambio idea, ma la voglia di camminare è tanta. Al peggio rifarò la doccia al rientro. E poi domani devo prendere l’aereo per New York, e per quattro mesi non vedrò più la mia città, che in fondo mi piace, nonostante il traffico e l’inquinamento.
Quattro mesi nella grande mela, per un corso di formazione organizzato dalla casa madre della ditta dove lavoro. Non ho nessuna voglia di andare, nonostante ufficialmente io risulti “volontario”. Avete presente come funziona in questi casi? Ti chiamano dall’ufficio del personale e ti dicono “Stiamo cercando dieci volontari per uno stage a New York, lei sarebbe disponibile?” Nessuna imposizione, nessun obbligo, ma tra le righe, forse nel tono in cui ti pongono la domanda, capisci che se non accetti stai facendo terra bruciata attorno a te, e in questo periodo di crisi non è certo costruttivo.
Esco nella strada assolata e deserta, dirigendomi verso il parco dove forse troverò un po’ di frescura sotto un albero.
Tutto sembra irreale: le vetrine dei negozi con i variopinti cartelli “chiuso per ferie”, i semafori che continuano imperterriti il loro lavoro, incuranti del fatto che non ci sia nessun automobilista a seguire i loro comandi. La forza dell’abitudine mi obbliga ad attendere il verde per attraversare l’incrocio, e mentre lo faccio mi rendo conto che potrei anche sdraiarmi nel bel mezzo della strada senza nessun pericolo.
La sensazione di estraneità aumenta: anche ad agosto è difficile che per così tanto tempo non passi nemmeno una macchina.
Comincio a sentirmi leggermente a disagio: sono fuori da dieci minuti, e solo adesso mi rendo conto che non ho visto nessuno, non ho udito nessun suono. Sembra una puntata di “Ai confini della realtà”.
Mentre un senso di disagio mi pervade, mi affretto verso il parco: lì si trova sempre qualcuno che cerca un po’ di refrigerio, a qualunque ora del giorno.
Svolto l’angolo e finalmente vedo il cancello del parco, che di notte viene chiuso per evitare l’accesso alle coppiette o ai drogati, da quando un drogato ha ucciso una coppietta appartata.
Anche nel parco non si ode un suono, non un uccello, non un soffio di vento, non un vociare di bambini che giocano.
Finalmente il silenzio opprimente viene rotto da un suono: il tubare di piccioni, e in quel momento sento nuovamente anche il rumore del ruscello. Ma veramente prima non sentivo nemmeno quello? Non ne sono più tanto sicuro. Improvvisamente il mondo sembra tornato rumoroso; sento anche in lontananza un martello pneumatico impegnato nel suo lavoro di distruzione.
Sulla panchina vicina al ponticello c’è seduta una vecchina che sta dando da mangiare ai piccioni; pare che stia anche parlando con loro, ma avvicinandomi mi accorgo che in realtà sta canticchiando una vecchia canzone tra se e se. No, non è una vecchia canzone: sta cantando “Vorrei avere il becco”, di Povia! Fa uno strano effetto sentire una persona così anziana cantare una canzone così recente!
Improvvisamente si alza un forte vento che fa volare via i piccioni e si porta via il cappello della signora. Il supereroe che è in me non perde tempo, e si lancia al salvataggio: corro dietro il cappellino a fiori, che vola come fosse un aquilone. Eccolo, sto per prenderlo… un salto e… ciaff! Mi ritrovo con il cappello in mano e i piedi dentro il ruscello! Guardando per aria non mi ero reso conto di essermi allontanato tanto dalla panchina!
Con le scarpe fradice mi dirigo verso la panchina, portando il mio trofeo, e la vecchina mi rivolge uno sguardo sornione mentre mi avvicino a lei.
Quando le porgo il cappello lei scoppia a ridere, una risata contagiosa che alla fine coinvolge anche me.
“Grazie giovanotto”, GIOVANOTTO! A quasi quarant’anni non pensavo di sentire più nessuno chiamarmi così!
“Si figuri, signora”, rispondo educatamente, e sto quasi per andarmene quando lei ricomincia a parlare.
“Lei non pensa di aver fatto una cosa speciale? Certo, è solo un cappellino, ma ormai viviamo in un mondo in cui ognuno si fa i fatti suoi, e pochi avrebbero aiutato una vecchietta in difficoltà. Su, si sieda un attimo con me. Magari può togliersi le scarpe e lasciarle al sole su quella pietra, così si asciugano e non si prende un accidente”
Mi sembra quasi di essere con mia madre! Questa signora premurosa mi tratta come se fossi un bambino! Comunque seguo il suo consiglio, e mi siedo accanto a lei.
Non sono una persona molto socievole, anzi, vengo definito abbastanza “orso”, ma con questa vecchietta mi sento a mio agio, e cominciamo a chiacchierare del più e del meno. Come in tutti i discorsi che si fanno con qualcuno che non si conosce cominciamo a parlare del tempo, del caldo che fa, del freddo che faceva fino a poco più di un mese fa, del fatto che non ci sono più le mezze stagioni. Le racconto anche del mio lavoro, e del mio imminente viaggio. Sentendo parlare dell’aereo il sorriso della signora si spegne: “Ma non ha paura sapendo di essere così in alto? Io non mi fido di queste cose. Come disse qualcuno, se l’uomo fosse fatto per volare sarebbe nato con le ali!”
“Signora”, rispondo io, “ormai sono anni che si vola, ed è comunque più sicuro viaggiare in aereo che in macchina”
“Certo, l’aereo è più sicuro, ma non il suo volo di domani! Non parta, rimandi di un giorno!”
Il tono di voce mi coglie alla sprovvista. Improvvisamente mi rendo conto che la vecchia non sembra avere tutte le rotelle a posto. Una persona sola trovo nel parco e deve per forza essere la discendente stonata di Nostradamus?
Un senso di disagio mi assale: improvvisamente mi rendo conto che ho raccontato alla vecchia tutto di me, mentre lei ha smesso di parlare una volta terminata la rubrica “che tempo fa”, ed ha ripreso solo per la rubrica “catastrofi imminenti”.
Guardo la pietra dove ho lasciato le scarpe, che sono ormai asciutte, e butto lì una scusa per allontanarmi dal parco.
La vecchia sembra un po’ rasserenata e mi saluta con la mano, dicendomi “Sono contenta che abbia deciso di seguire il mio consiglio”.
Mentre torno a casa ripenso alla strana vicenda, e mi viene quasi da ridere. Ma da dove è uscita questa? Eppure aveva un chè di familiare!
Arrivo davanti all’ingresso delle scale, nonostante il caldo torrido non ho sudato, ma le scale riescono nell’intento: ad ogni gradino, man mano che salgo, l’aria si fa sempre più afosa, e quando arrivo al mio pianerottolo del sesto piano la maglietta è diventata una seconda pelle.
Pazienza, farò un’altra doccia.
Entro nell’appartamento minuscolo, ma sufficiente per un single come me, e lancio la maglietta nella cesta della biancheria sporca. Nel bagno c’è ancora il vapore della doccia di questo pomeriggio, devo decidermi ad aggiustare la ventola dell’aspiratore, o qui comincerà a marcire tutto.
Mentre apro il rubinetto sento un rumore nell’altra stanza… sembra il televisore. Non è possibile: non l’ho acceso e inoltre ieri sera, prima di uscire per il turno di notte, avevo staccato il cavo dell’antenna perché il cielo minacciava un forte temporale, che poi non è arrivato. Ma i fatti mi contraddicono: il televisore è acceso, e mostra le immagini di un aereo spezzato in due, avvolto nelle fiamme sulla pista di decollo di Fiumicino, mentre il cronista commenta: “E’ ancora in corso il conto delle vittime del disastro aereo di questa mattina. Il volo FR650, con destinazione Parigi, si è schiantato per cause ancora da scoprire durante il decollo dall’aeroporto di Roma Fiumicino. Per l’impatto l’aereo si è spezzato in due, e tra i passeggeri dei posti centrali non ci sono sopravvissuti. Gli addetti stanno ancora cercando tra le macerie la scatola nera, che permetterà di scoprire la dinamica dell’incidente”.
Però, la vecchia ci aveva quasi azzeccato: quello era il volo che avrei dovuto prendere io per poi andare a New York, e inoltre al check in cerco sempre di farmi dare i posti centrali. Ma è anche molto probabile che lei abbia già visto la notizia nel TG del mattino e le sia solamente rimasta impressa.
Rimango a guardare le immagini catastrofiche, mentre nella doccia l’acqua continua a scrosciare.
Sullo schermo continuano a passare visi stravolti dall’incidente, barelle che corrono nelle vicinanze dell’aereo e tornano indietro col loro carico di disperazione, come è diventata ormai consuetudine dei nostri telegiornali. Il dolore e lo strazio fanno sempre audience.
Terminata la notizia rimango ancora allibito davanti al televisore, fino a che iniziano le previsioni del tempo. Come sempre si comincia con la serata di oggi, 7 agosto.
SETTE AGOSTO? Per un attimo il cuore salta qualche battito… mi giro verso la sveglia che conferma la data indicata dal televisore.
L’aereo… la vecchia… aveva ragione! Ma… come è possibile? Guardo nuovamente la sveglia, che questo pomeriggio segnava un giorno in meno. In qualche modo un giorno della mia vita è scomparso. Possibile che la vecchia…? Non riesco a capacitarmi di cosa sia accaduto: un giorno, 24 ore della mia vita sono svanite nel nulla… ma grazie a questo la mia vita sta continuando…
E d’improvviso mi viene in mente il motivo per cui la vecchia mi sembrava tanto familiare: vado a cercare nei cassetti il vecchio album di famiglia… lo sfoglio, ed ecco la foto di mia nonna, mancata poco prima che io nascessi, che mi sorride con la stessa aria sorniona della vecchietta del parco.
Tutto questo è pazzesco, sento il cuore che batte all’impazzata e mi sento soffocare. Mi affaccio alla finestra per prendere una boccata d’aria: lungo la via stanno circolando alcuni passanti, e qualche auto corre come se fosse a Maranello approfittando delle strade vuote. Si sentono i rumori dello scarso traffico, dei passanti, dei lavori in corso nella via parallela. In lontananza, in direzione dell’aeroporto, si vede una nuvola di fumo scuro che lentamente si dissolve nell’aria.



Torino, 31/03/09

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