martedì 12 maggio 2009

L'esperimento

Giovedì 10 agosto

Buongiorno a tutti, mi presento: mi chiamo Henry Benn, e sono uno studente in psicologia. Ho sempre avuto ottimi risultati all’università, ed ora che mi sto avvicinando alla laurea, ho deciso di comporre una tesi che mi assicurerà senz’altro un’uscita con lode. Ho deciso di trattare l’effetto della solitudine totale sull’uomo, e per far questo ho voluto provare di persona.

Betty, la mia fidanzata, possiede una pellicceria, ed ho chiesto a lei l’aiuto necessario all’esperimento. Approfittando della chiusura estiva del negozio abbiamo allestito nel caveau della pellicceria un piccolo monolocale, con un frigorifero con provviste per una settimana (anche se l’esperimento durerà solo cinque giorni), una branda, una sedia e un tavolino, sul quale sto scrivendo in questo momento il mio diario, che aggiornerò di giorno in giorno e che sarà la base per la mia tesi. Ah, dimenticavo, naturalmente abbiamo provveduto anche per un WC da campeggio!

Per essere sicuro che l’esperimento vada in porto senza interruzioni ho chiesto a Betty di andarsene dalla città per cinque giorni, in modo che non possa venirmi a liberare prima della scadenza prevista. Se sapessi in anticipo di poter uscire in qualunque momento le mie emozioni non sarebbero più veritiere, mentre io voglio scoprire cosa si prova veramente essendo abbandonati dal mondo.

Ed eccomi qui, al primo giorno del mio esperimento. Un ultimo bacio, e Betty ha chiuso la porta blindata del caveau, non senza aver provato ancora una volta a dissuadermi dalla mia “pazzia”, come lei l’ha definita. Betty è una ragazza di parola, e sono sicuro che ha seguito alla lettera le mie istruzioni, andando per cinque giorni a far visita alla sua vecchia nonna.

Prime impressioni? Per ora non provo niente di anormale, niente panico, niente angoscia, solo un lieve senso di claustrofobia appena chiusa la porta, ma passato subito. Erano anni che non mi trovavo immerso in un silenzio così totale, e devo ammettere che la cosa non mi dispiace affatto. La vita sregolata, rumorosa, che conduciamo al giorno d’oggi fa spesso venir voglia di solitudine, di tranquillità. Comincio a pensare che la mia, più che una ricerca, sarà una vacanza. Forse avrei dovuto allungare la prova a due o tre settimane!

Penso comunque che per oggi la giornata non presenterà problemi di sorta, soprattutto perché il primo giorno di silenzio si può solo apprezzare.

Per ora terminerò quindi a questo punto il mio diario. In questo momento sono le 14.00. Mi sdraierò un attimo sulla branda per vedere se mi riesce di recuperare il sonno perso questa notte per l’emozione di iniziare questa prova, poi questa sera comincerò a dar fondo alle provviste per la cena. Riprenderò a scrivere domani.


Venerdì 11 agosto

La nottata è stata stupenda. Ho avuto qualche difficoltà ad addormentarmi a causa del troppo silenzio, ma il vecchio sistema di contare le pecore ha funzionato: ho dormito come un ghiro fino alle 11.00, quando mi ha svegliato la suoneria del mio orologio. E’ strano svegliarsi a quell’ora e non vedere il sole, ma qui l’unica luce che ho a disposizione è quella dei neon. Ho unito colazione e pranzo in un unico pasto a mezzogiorno, concedendomi due uova sode e una scatola di tonno. Purtroppo devo accontentarmi di cibi crudi o precotti perché la scarsità di areazione del caveau non avrebbe permesso l’installazione di un fornelletto e solo ora mi è venuto in mente che avrei potuto comprare un forno a microonde. Pazienza: cinque giorni passano presto.

Con tutto questo silenzio mi pare a volte di essere sordo, si avverte quasi una sensazione di pressione alle orecchie, come se fossero state messe in un ambiente sotto vuoto. Ogni tanto intono qualche canzone per provare a me stesso che i miei padiglioni auricolari funzionano ancora. Ho già provato anche l’impulso di parlare a voce alta, ma so già che mi sentirei uno psicolabile, quindi meglio desistere.

A parte ciò mi sento esattamente come ieri, la solitudine non mi disturba, anzi, mi piace sempre più. Devo solo abituarmi al silenzio. Avrei dovuto portarmi una radio! Ma che dico? Con una radio la sensazione di solitudine sarebbe stata attutita, e il mio esperimento non sarebbe stato realistico. Intorno a me deve esserci il vuoto assoluto.

E’ straordinario come in questo silenzio si faccia caso ai suoni più deboli, che sembrano amplificati di dieci volte: il rumore della penna che scorre sul foglio, il sommesso ronzio del neon, il motore del frigorifero e, perché no, il rumore dell’urina che scorre nella tazza della mia toilette da terremotato. In definitiva questi sono gli unici rumori che sento.

E anche per oggi un mattone della mia tesi è stato messo. Sono convinto che riceverò i complimenti anche dal rettore. Altro che ricerche sui libri di testo!


Sabato 12 agosto

Questa mattina sono stato svegliato da frigorifero! Può darsi che ci sia qualcosa di rotto, ma improvvisamente mi sembra più rumoroso. Spero che non mi pianti in asso prima di lunedì. Certamente non morirei senza mangiare per due giorni, ma la cosa sarebbe alquanto disagevole.

La nottata non è passata nel migliore dei modi: ho avuto un incubo, anche se non so se dovuto al senso di disagio causato dalla solitudine o dalla cena di ieri sera. Ho sognato il mio vecchio nonno, morto suicida a 73 anni. Aveva già provato altre volte a togliersi la vita, e l’ho rivisto proprio nel suo ultimo tentativo, quello andato a segno. Eravamo nel ’76, io ero ancora piccolo, e mio nonno mi stava raccontando una delle sue storie. Ad un tratto, quella che era iniziata come un’innocua favola, si trasformava in un racconto dell’orrore che mi atterriva. Io volevo tapparmi le orecchie per non sentire quella storia, ma il nonno mi aveva bloccato le mani e continuava a raccontare inesorabile di come il protagonista della fiaba si gettava sotto un treno e di come le sue interiora venivano sparse tutto attorno alle rotaie. Improvvisamente la camera intorno a noi era sparita, e ci trovavamo proprio in quel tratto di rotaia dove mio nonno aveva perso la vita. In realtà io non avevo mai visto quelle rotaie, ma nel sogno sapevo che lì sarebbe accaduto il fatto. In lontananza si sentiva il fischio del treno, e mio nonno non accennava a togliersi dalle rotaie, trattenendo me per un braccio. Io mi divincolavo, gridando che non volevo fare la sua fine, ma la presa non mollava. Il treno era ormai giunto alla curva oltre la quale il macchinista ci avrebbe scorti, anche se troppo tardi per poter arrestare il convoglio. Il treno arrivava, ed io non potevo fare nulla se non urlare. Poi l’urto; tonnellate di acciaio sferragliavano su di noi, ma io continuavo a vedere: vedevo le ruote che correvano sulle rotaie, sprizzando scintille, i nostri corpi che venivano smembrati, come se la mia testa mozzata dal capo e schiacciata sotto una ruota possedesse una vita sua e si rifiutasse di lasciarla andare. Vedevo un occhio di mio nonno, schizzato dall’orbita, che riusciva a mantenere il suo sguardo folle anche senza l’ausilio dei muscoli facciali che caratterizzano le espressioni. Continuavo a vedere pezzi del mio corpo che schizzavano via come comete seguite da una coda insanguinata. Vedevo tutto questo e tuttavia non riuscivo a svegliarmi, come di norma avveniva con gli incubi.

Per mia fortuna, come già ho detto, il frigorifero mi ha destato, facendomi passare da un lago di sangue onirico ad un lago di sudore ben più reale. Ho paura che fino a martedì mattina, quando Betty mi aprirà la porta, dovrò sopportare l’odore delle lenzuola sudate.

Ancora non so cosa abbia causato il sogno, comunque ho preferito scriverlo per poterlo ricordare nei suoi dettagli ed analizzarlo con calma fuori di qui.


Domenica 14 agosto

Rieccomi qui, più vispo che mai. Ieri sera ho fatto fuori tutta la provvista di birra che avevo nel frigorifero, perché il ricordo del sogno della notte precedente non mi lasciava addormentare. La medicina ha avuto l'effetto sperato, e con quella sbronza non ho avuto problemi per tutta la notte. Non posso dire lo stesso di questa mattina, quando al mio risveglio mi sembrava di aver dormito con la testa in una morsa. D’altronde, ogni medicina ha i suoi effetti collaterali!

Ora il mal di testa mi è passato, anche se in ciò non sono certamente stato aiutato dal frigorifero, al quale si è aggiunto anche il rumore dei neon. Che stiano per bruciarsi? Questo mi costringerebbe ad interrompere il diario e ad aspettare buono buono che Betty mi venga a liberare. Speriamo di no!

Oggi ho rinunciato al “silenzio stampa”, e mi sono messo a chiacchierare con me stesso. Mi ha dato una sensazione di sollievo poter discorrere un po’ con qualcuno, soprattutto visto che quel qualcuno aveva le mie stesse opinioni!

Ad essere sinceri comincio a sentirmi un po’ troppo isolato. Non avere nessuno vicino può essere rilassante all’inizio, ma poi diventa snervante.

Non vedo l’ora di uscire di qua.


Lunedì 15 agosto

Finalmente sono giunto all’ultimo giorno. Domani mattina, alle 9 esatte rivedrò la luce del sole e la mia cara Betty.

Stamattina, mentre risistemavo la branda disfatta nella notte ho fatto altre quattro chiacchiere con me stesso. Per vivacizzare un po’ la situazione ho immaginato che l’altro fosse un’altra persona, a cui ho dato il nome Bob. Ho cercato anche di dare a Bob una mentalità diversa dalla mia, perché una conversazione in cui la controparte ti da sempre ragione risulta piuttosto noiosa. Devo dire che la discussione è stata animata, anche se non al punto da arrivare alle mani. Ma ve lo immaginate se Betty, aprendo la porta, mi trovasse con un occhio nero?

Oggi comunque è stata giornata di festa per l’imminente liberazione, e a pranzo ho aperto l’ultima lattina di birra che era sfuggita alla mia razzia dell’altra sera e l’ho divisa equamente con Bob. Tranquilli, sto scherzando: Bob esiste soltanto grazie alla mia fantasia, e morirà non appena avrò messo piede fuori di qui.

Nel frigorifero mi resta solo più una scatola di carne e una fetta di torta per stasera e un po’ di latte e biscotti per la colazione di domattina, per non dimenticare una bottiglia ci champagne per brindare domani con Betty.

Sarà lunga fino a domani, con l’ansia che mi divora per la voglia di uscire. Ma perché non ho portato almeno le parole incrociate per passare il tempo?


Martedì 16 agosto

Questa mattina mi sono svegliato dopo le dieci, e Betty non era ancora arrivata. Probabilmente avrà avuto guai con la macchina… Sono mesi che insisto perché la faccia controllare: quei rumori sotto il cofano non avevano niente a che vedere con il normale rumore di un motore.

Probabilmente ha fuso appena partita dalla cara nonnina ed ora sta controllando gli orari dei treni. Mi ricordo però che l’unica volta che l’avevo accompagnata in treno da sua nonna avevamo dovuto aspettare le sei di sera per poter partire. Ciò vuol dire che fino alle 19.30, calcolando anche una buona mezz’ora in taxi dalla stazione al negozio, dovrò restare ancora da solo.

Pazienza, peccato solo che oggi ho già dato fondo alle provviste. Per oggi sarò costretto ad una dieta forzata.


Giovedì 17 agosto (?)

Non sono sicuro della data perché martedì ho rotto l’orologio, e senza la luce del sole non è facile rendersi conto del trascorrere del tempo.

Come potrete ben immaginare Betty non è arrivata. Temo il peggio. Non vorrei che fosse stata vittima di un incidente. Se ciò fosse, vorrebbe dire che è molto grave, se non morta (Dio me ne scampi), perché altrimenti avrebbe trovato almeno il modo di mandare qualcuno a liberarmi.

Martedì ho atteso fino alle dieci di sera, poi non vedendo arrivare nessuno ho avuto una crisi di panico, ed ho cominciato ad urlare e a prendere a calci e pugni la porta. E’ stato così che ho rotto l’orologio. Il mio sfogo è durato una decina di minuti, durante i quali ho avuto modo di slogarmi un polso e forse fratturarmi un alluce. Dopo ho pianto e sono finalmente riuscito a calmarmi.

Ieri (anche se non sono sicuro che oggi sia giovedì e non ancora mercoledì) ho cercato una possibile via di fuga. Niente da fare: il caveau è stato fatto per non far entrare nessuno, e posso assicurare che anche uscirne è un’impresa ardua.

Siccome altre possibilità non ne avevo, altro non mi rimaneva che non cercare di ingannare il tempo riprendendo il diario.

Intanto ho posticipato la morte di Bob per poter continuare ad avere una compagnia. Oggi abbiamo parlato della mia (nostra) situazione. Lui ha detto senza troppi complimenti che questo luogo sarà la mia tomba. Io non voglio crederci: prima o poi qualcuno si accorgerà della mia assenza.


Venerdì 19 agosto

Questa mattina, al mio risveglio, ho sentito le prime avvisaglie della fame. Il frigorifero è vuoto: il cibo che avrebbe dovuto durare una settimana è finito nei cinque giorni, ed ora non ho più nulla da mangiare. Per fortuna ho ancora scorte abbondanti d’acqua.

Per tutto il giorno non ho fatto altro che misurare a grandi passi la mia prigione, cantando o parlando con Bob per rompere la monotonia del silenzio.

Se avessi con me un accendino proverei a far scattare il sistema d’allarme antincendio, che comunque con buone probabilità è stato disattivato visto che il caveau è stato svuotato dalle pellicce per i lavori di restauro del negozio di fine estate, prima della riapertura.

Ho staccato la spina del frigorifero: il rumore era diventato veramente fastidioso e urtava i miei nervi peraltro già scossi. Peccato non poter fare qualcosa anche per il ronzio dei neon.


Domenica 21 agosto

Spero che la data sia giusta.

Ieri non ho scritto nulla. Ho impegnato parecchio tempo della giornata a discutere con Bob. Sì, proprio lui. Da ieri mattina ha cominciato a parlarmi anche quando non lo evocavo io con la mia fantasia. Sono riuscito a creare così bene una sua personalità che le sue idee sono ora in netto contrasto con le mie.

Ieri sosteneva che Betty mi aveva abbandonato di proposito, perché non voleva più saperne di me e voleva intascare i soldi della mia assicurazione sulla vita, quando sappiamo benissimo tutti e due che fino a che non saremo marito e moglie lei non incasserà proprio un bel niente. Secondo Bob Betty avrebbe un amante, e sarebbe stata lei a convincermi a tentare questo insulso esperimento, circuendomi come solo le donne sanno fare. Io non voglio assolutamente credere ad una cosa del genere, però, a pensarci bene, non mi pare che abbia posto una resistenza troppo eccessiva al mio progetto. Ma che sto dicendo? Betty non farebbe mai una cosa simile! Comunque dopo la discussione Bob non si è più fatto sentire. Forse si è offeso.


Lunedì 22 agosto

Stamattina ho fatto la pace con Bob. Vederlo lì in un angolo, come un cane bastonato, mi dava una gran pena. Oltretutto è il mio unico compagno in questa prigione.

Ho detto vederlo? Beh, volevo dire immaginarlo.

Nel pomeriggio abbiamo giocato all’impiccato, ma Bob indovinava sempre le parole a cui io pensavo, così mi sono stufato ed ho troncato la partita. Avevo pensato di creare delle carte da gioco con i fogli del diario, ma sarebbe un lavoraccio e sarebbero comunque troppo riconoscibili dal retro.

L’ideona è venuta a Bob: abbiamo disegnato una scacchiera su di un foglio e i pezzi degli scacchi su pezzi di carta strappati dal diario. Non fanno certo la figura di una scacchiera d’avorio, ma si possono usare. Sembra che Bob non sia tanto ferrato su questo gioco: ho vinto sei partite su sette!

Questa sera ho pensato ancora a Betty. Possibile che sia stata così meschina? A quest’ora, probabilmente sarà a godersi il sole con qualche bellimbusto alle Hawaii, aspettando il momento in cui il telegiornale annuncerà il ritrovamento di due cadaveri nel caveau del suo negozio.

Pensate alla faccia del papà di Betty quando troverà me e Bob stesi sul pavimento quando verrà ad iniziare i lavori di restauro. Non è neanche detto che ne trovi due; potremmo fare come quei calciatori precipitati sulle Ande, e il primo di noi che soccomberà verrà mangiato dall’altro. Spero di non arrivare mai a questo, ma la fame sta diventando violenta. No, ma cosa sto dicendo? Io non mangerò mai la carne di un amico! Piuttosto la morte!


Mercoledì 23 agosto

Non posso crederci! Quel bastardo di Bob è riuscito a fuggire! Non riesco nemmeno a capire come, probabilmente aveva un amico fuori che lo ha liberato, ed ha voluto lasciarmi chiuso dentro per vendicarsi dell’alterco che abbiamo avuto domenica.

Ieri mattina mi sono alzato e non l’ho più trovato. Se n’è andato così, nella notte, senza un rumore, abbandonandomi come un cane. Ed io che lo credevo un amico! Per tutto questo tempo non ha fatto altro che prendermi in giro, aspettando il momento propizio per vendicarsi! Ma un giorno uscirò di qua, e lo troverò per fargliela pagare, dovessi cercarlo in capo al mondo.


Giovedì 25 agosto

Questa notte Bob è venuto a farsi beffe di me, parlandomi attraverso la porta. Mi ha detto di essere lui l’amante di Betty, e che tutto era stato preparato già da tempo, per togliermi di mezzo. La cosa più raccapricciante è stato sentire la risata di Betty assieme alla sua voce. Avrei dovuto capire subito che quella ragazza era completamente pazza! E il suo amico non è da meno. Penso che prima di fuggire da qui abbia letto il mio diario, perché le sue ultime parole, prima di abbandonarmi di nuovo, riguardavano proprio la pagina scritta lunedì: mi ha detto che gli dispiaceva non poter essere la mia cena, ma che volendo avrei potuto utilizzare tante parti di me di cui avrei potuto fare a meno.

Sono in una situazione disperata. Sono rinchiuso qui dentro da giorni senza cibo, e le uniche persone che lo sanno sono completamente pazze.

Non resisto più: oltre la fame sempre crescente sto cominciando a sentire una sensazione di claustrofobia. Mi sembra che mi manchi l’aria, e forse la mia non è solo una sensazione: i due meschini potrebbero aver otturato i fori di areazione. Sanno che ho ancora acqua e che la fame da sola non provoca una morte abbastanza veloce, così hanno pensato bene di accelerare i tempi.


Sabato 27 agosto

Questa mattina sono stato svegliato da atroci crampi allo stomaco. Non pensavo che il dolore potesse raggiungere una soglia così elevata. Ho provato a bere un litro intero d’acqua, per illudere il mio corpo di essere sazio, ma ho vomitato subito dopo, aumentando il dolore.

Ieri il ronzio dei neon era diventato insopportabile, così sono salito sul tavolo e ne ho rotti quattro, tenendo solo quello al centro della stanza per non rimanere completamente al buio, poi sono stato preda di una crisi isterica e non ricordo più nulla fino a questa mattina. Per essere sincero non so assolutamente se la data scritta sia veramente quella di oggi: ho perso totalmente la nozione del tempo. Conto i giorni ogni volta che mi sveglio, supponendo che il mio corpo sia ancora abituato ai ritmi di veglia e sonno che avevo prima. Può anche darsi però che io abbia dei momenti di incoscienza. Insomma, la data sul diario la scrivo più per abitudine che per avere un reale riscontro del trascorrere del tempo.

Oggi ho finalmente mangiato. No, non ho cominciato a farmi a pezzi, ma ho messo in atto le cose imparate dagli innumerevoli romanzi d’avventura letti da bambino, quelli in cui il naufrago, non avendo altra alternativa, mangia il cuoio delle proprie scarpe. Non ho mai assaggiato niente di più schifoso: è stato come mangiare plastica, ma lo stomaco le ha rette. Penso che nella mia situazione avrebbe retto qualunque cosa. Dopo questo pasto non mi è rimasto comunque niente, se si esclude la custodia in pelle dei miei occhiali.

Non ho più avuto notizie di Betty e di Bob. Forse hanno deciso di lasciarmi morire in pace e se ne sono andati lontano, per poi tornare quando il mio corpo verrà ritrovato e fare un po’ di scena.

Sono stati però molto stupidi: non hanno pensato che assieme a me verrà ritrovato anche il diario. Voglio che tutti lo sappiano: i miei assassini sono loro! Quanto darei per vederli arrostire sulla sedia elettrica!


Domenica 28 agosto

Questa mattina ho partecipato alla Messa. Non essendoci preti, naturalmente ho dovuto celebrarla io, utilizzando lo champagne (quello pronto per essere aperto alla mia liberazione) al posto del vino e la pelle della custodia degli occhiali al posto dell'Ostia. E' stata una funzione memorabile, peccato solo che mancasse il coro.

Ho disegnato con la penna un maniglione antipanico sul frigorifero, così ora sembra un’uscita di sicurezza e non ho più l’impressione di essere bloccato qui. Ho sempre detto io che il bisogno aguzza l’ingegno.

Devo ancora studiare una soluzione per il WC: ormai è pieno e ho dovuto cominciare a fare i miei bisogni per terra, nell’angolo. Forse potrei utilizzare le bottiglie d’acqua vuote, ma dovrei anche trovare il modo di tapparle per non far uscire l’odore. Forse domani andrò a comprare i tappi. Oggi proprio non me la sento di uscire, mi sento uno straccio.


Lunedì 29 agosto

Mi sono ricordato proprio stamattina che in città tutti i negozi sono chiusi per ferie, quindi è inutile uscire per comprare i tappi per le bottiglie.

Ho scoperto solo oggi che l’uscita di sicurezza che c’è nell’angolo è bloccata: la porta si apre, ma dietro non c’è l’apertura! Hanno fatto un’uscita di sicurezza murata! Alla faccia delle leggi antinfortunistiche!

L’unico neon rimasto ha cominciato a fare più rumore di tutti gli altri messi insieme, ma non posso spegnerlo, perché chi aprirà la porta potrebbe pensare che non ci sia nessuno in casa e andarsene. Ma io sono furbo: tutti sanno che se in casa c’è la luce accesa significa che c’è qualcuno! Per questo i miei genitori volevano mettere i timer collegati all’impianto della casa per tenere lontani i ladri. Così i ladri pensavano che non fossimo andati in vacanza e non entravano in casa.


Martedì 30 agosto

Sono ancora qui, tutto dolorante. Appena alzato ho provato a sfondare la porta a pugni e calci. L’alluce che credevo di essermi rotto la settimana scorsa ora è rotto sicuramente, così come il polso sinistro. Eppure nei film riescono sempre a buttare giù le porte, a meno che naturalmente non si prendano ad esempio i film comici, dove gli eroi sono talmente sfigati che quando danno una spallata alla porta o si rompono un braccio oppure questa si apre sulla parete a strapiombo di un grattacielo, che non si capisce cosa ci stia a fare una porta su un muro esterno senza scale.

In questo momento sto scrivendo seduto per terra con il diario sulle gambe perché il tavolino è traballante e non riesco a seguire la riga se il foglio continua a muoversi avanti e indietro. Anche da piccolo ho sempre avuto difficoltà a scrivere: la maestra diceva sempre a mia madre che per farmi seguire le righe avrebbero dovuto inventare apposta per me un quaderno con le righe ondulate e la mia maestra sapeva bene quello che diceva e io non ero certo l’alunno più bravo della classe ma ora sto studiando psicologia e con questa tesi passerò l’esame alla grande e la mia maestra sarà fiera di me.

Ora sono stanco e forse è sera e mi rimetto a dormire.


Martedì 31 agosto

Non ce la faccio più la solitudine mi sta distruggendo. La stanza è sempre più piccola e l’acqua sta finendo ma tanto penso che morirò prima.

Il nonno aveva cercato di portarmi con se nel sogno e sarebbe stato meglio se fossi andato con lui perché il nonno sapeva quello che stava facendo sapeva che nella vita devi sempre guardarti alle spalle che quelli che più ami possono pugnalarti alla schiena il nonno era in gamba.

Ho sentito grattare alla porta questa mattina ma forse era il gatto e gli ho detto di andarsene perché non ho più latte da dargli. Lui se n’è andato perché i gatti sono tutti egoisti e quando non hai più niente da offrire loro se ne vanno e non tornano più da te perché i gatti sono egoisti e quando uscirò di qua non vorrò vederne mai più perché sono egoisti.


Domenica 32 agosto

Oggi niente Messa perché è finito lo champagne e senza vino non si può benedire. Questa notte è venuto a trovarmi lo spirito di mio nonno che mi ha detto che entro poco verranno a cercarmi perché ho scordato di pagare la bolletta del telefono e quindi verranno a cercarmi per chiedermi i soldi ma io qui non ho il portafoglio e forse mi pignoreranno i mobili perché sono senza soldi per pagare la bolletta ma mio nonno dice che c’è ancora tempo e forse riesco a racimolare qualcosa.

Siccome oggi è giorno di festa ho deciso di digiunare per pregare e purificare la mia anima perché se proprio devo morire non voglio andare all’Inferno perché il troppo caldo mi fa male. Forse non arriverò al Paradiso ma spero almeno nel Purgatorio (se mi sentisse il mio insegnante di lettere sarebbe contento di me che conosco così bene la Divina Commedia).

Darei qualunque cosa per vedere la luce del sole almeno per dieci minuti. Sarà vero che chi non ha visto il sole per troppo tempo quando lo rivede ne viene incantato e si brucia gli occhi fissandolo troppo a lungo?

E’ tardi, saranno almeno le 22.65, quindi è ora di dormire. I bambini non devono stare alzati fino a tardi, altrimenti quando arriva Babbo Natale si trasforma nell’Uomo Nero e li mangia perché Babbo Natale non vuole che i bimbi lo vedano. Non vedo l’ora di sapere cosa mi lascerà sotto l’albero (l’ho disegnato su un foglio perché uno vero non ce l’avevo).


Domenica 25 dicembre

Babbo Natale non mi ha lasciato nulla forse sono stato cattivo ma io non ho cercato comunque di vederlo per non farlo trasformare in Uomo Nero ma siccome non mi ha lasciato il regalo l’anno prossimo lo aspetterò con una trappola e lo ricatterò perché io sono stato buono e non mi ha portato il regalo.

Buon Natale.


Giovedì 42 dicembre

E’ passato un mese da ieri o forse un anno. Nessuno apre ancora la porta e io da dentro non riesco pesa troppo. Ieri ho cantato “Tanti Auguri a me” perché era il mio compleanno ma la porta è rimasta chiusa dentro non ha neanche la serratura per poterla aprire con la forcina per capelli come nei film tanto io non avevo la forcina quando esco ne compro una.


Lunedì 78 dicembre

Oggi c’è il sole è una bella giornata e gli uccellini cinguettano ma io questo non lo posso vedere perché sono chiuso qui dentro e non c’è un cacchio di finestra e devo solo immaginare quello che succede fuori e magari invece c’è la neve che buffo.

Qui posso solo dormire bere e pisciare perché non posso fare altro il neon è troppo rumoroso e fa venire mal di testa quindi questa sarà l’ultima pagina che scrivo perché il neon fa venire mal di testa e lo romperò anche quello rimasto poi dormirò giorno e notte che tanto sono uguali e mi sveglierò quando una principessa aprirà la porta e mi bacerà e poi andrò di corsa all’università e avrò i complimenti dei miei insegnanti e di tutti per il mio esperimento che meglio di così non poteva funzionare

ora so veramente cos’è la solitudine

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Queste pagine vennero trovate il 10 settembre ’95 in un caveau della pellicceria di Betty Enderson, morta il 16 agosto in un incidente stradale mentre tornava verso casa dopo essersi recata in visita alla nonna. Accanto al diario vi era il corpo di Henry Benn, studente universitario all’ultimo anno di psicologia. L’uomo era mutilato della mano sinistra, apparentemente staccata a morsi. La mano non è stata ritrovata.





Orbassano, 26 maggio 1996

mercoledì 6 maggio 2009

L'incontro

Mi sveglio nel primo pomeriggio; ho fatto il turno di notte. La sveglia sul comodino segna le 14,30 del 6 agosto. Come tutte le volte in cui dormo a lungo sento in bocca un sapore di topo morto, e la testa pulsa per un mal di testa in procinto di arrivare.
L’aria è immobile, in questo soleggiato pomeriggio di agosto; dall’unica finestra di questo mio monolocale in affitto vedo la parete del condominio sull’altro lato della strada, di un finto marmo che una volta era bianco, ma ora sembra pulito solo più quando il sole gli batte direttamente sopra.
Il vecchio stereo trasmette solo scariche elettrostatiche, deve aver perso l’onda mentre dormivo.
Faccio una doccia, nella vana speranza di riuscire a dissipare un po’ lo stordimento che mi pervade, e miracolosamente questa volta l’espediente funziona. Quando esco dal bagno saturo di vapore mi sento sveglio, e decido di fare una passeggiata sotto il solleone.
Nella tromba delle scale manca l’aria, per il caldo e l’umidità, al quale si mescola l’odore di piscio del figlio della signora del secondo piano, che pare che quando gioca a pallone in cortile non riesca mai ad arrivare fino a casa sua per fare i bisogni.
Fortunatamente man mano che scendo gli scalini il calore che si accumula verso i piani alti si dirada lentamente, fino ad arrivare ad una parvenza di frescura.
La sensazione dura fino a che non apro la porta che da sulla strada: in quel momento tutti i 37 gradi dell’esterno mi assalgono ruggendo. Quasi quasi cambio idea, ma la voglia di camminare è tanta. Al peggio rifarò la doccia al rientro. E poi domani devo prendere l’aereo per New York, e per quattro mesi non vedrò più la mia città, che in fondo mi piace, nonostante il traffico e l’inquinamento.
Quattro mesi nella grande mela, per un corso di formazione organizzato dalla casa madre della ditta dove lavoro. Non ho nessuna voglia di andare, nonostante ufficialmente io risulti “volontario”. Avete presente come funziona in questi casi? Ti chiamano dall’ufficio del personale e ti dicono “Stiamo cercando dieci volontari per uno stage a New York, lei sarebbe disponibile?” Nessuna imposizione, nessun obbligo, ma tra le righe, forse nel tono in cui ti pongono la domanda, capisci che se non accetti stai facendo terra bruciata attorno a te, e in questo periodo di crisi non è certo costruttivo.
Esco nella strada assolata e deserta, dirigendomi verso il parco dove forse troverò un po’ di frescura sotto un albero.
Tutto sembra irreale: le vetrine dei negozi con i variopinti cartelli “chiuso per ferie”, i semafori che continuano imperterriti il loro lavoro, incuranti del fatto che non ci sia nessun automobilista a seguire i loro comandi. La forza dell’abitudine mi obbliga ad attendere il verde per attraversare l’incrocio, e mentre lo faccio mi rendo conto che potrei anche sdraiarmi nel bel mezzo della strada senza nessun pericolo.
La sensazione di estraneità aumenta: anche ad agosto è difficile che per così tanto tempo non passi nemmeno una macchina.
Comincio a sentirmi leggermente a disagio: sono fuori da dieci minuti, e solo adesso mi rendo conto che non ho visto nessuno, non ho udito nessun suono. Sembra una puntata di “Ai confini della realtà”.
Mentre un senso di disagio mi pervade, mi affretto verso il parco: lì si trova sempre qualcuno che cerca un po’ di refrigerio, a qualunque ora del giorno.
Svolto l’angolo e finalmente vedo il cancello del parco, che di notte viene chiuso per evitare l’accesso alle coppiette o ai drogati, da quando un drogato ha ucciso una coppietta appartata.
Anche nel parco non si ode un suono, non un uccello, non un soffio di vento, non un vociare di bambini che giocano.
Finalmente il silenzio opprimente viene rotto da un suono: il tubare di piccioni, e in quel momento sento nuovamente anche il rumore del ruscello. Ma veramente prima non sentivo nemmeno quello? Non ne sono più tanto sicuro. Improvvisamente il mondo sembra tornato rumoroso; sento anche in lontananza un martello pneumatico impegnato nel suo lavoro di distruzione.
Sulla panchina vicina al ponticello c’è seduta una vecchina che sta dando da mangiare ai piccioni; pare che stia anche parlando con loro, ma avvicinandomi mi accorgo che in realtà sta canticchiando una vecchia canzone tra se e se. No, non è una vecchia canzone: sta cantando “Vorrei avere il becco”, di Povia! Fa uno strano effetto sentire una persona così anziana cantare una canzone così recente!
Improvvisamente si alza un forte vento che fa volare via i piccioni e si porta via il cappello della signora. Il supereroe che è in me non perde tempo, e si lancia al salvataggio: corro dietro il cappellino a fiori, che vola come fosse un aquilone. Eccolo, sto per prenderlo… un salto e… ciaff! Mi ritrovo con il cappello in mano e i piedi dentro il ruscello! Guardando per aria non mi ero reso conto di essermi allontanato tanto dalla panchina!
Con le scarpe fradice mi dirigo verso la panchina, portando il mio trofeo, e la vecchina mi rivolge uno sguardo sornione mentre mi avvicino a lei.
Quando le porgo il cappello lei scoppia a ridere, una risata contagiosa che alla fine coinvolge anche me.
“Grazie giovanotto”, GIOVANOTTO! A quasi quarant’anni non pensavo di sentire più nessuno chiamarmi così!
“Si figuri, signora”, rispondo educatamente, e sto quasi per andarmene quando lei ricomincia a parlare.
“Lei non pensa di aver fatto una cosa speciale? Certo, è solo un cappellino, ma ormai viviamo in un mondo in cui ognuno si fa i fatti suoi, e pochi avrebbero aiutato una vecchietta in difficoltà. Su, si sieda un attimo con me. Magari può togliersi le scarpe e lasciarle al sole su quella pietra, così si asciugano e non si prende un accidente”
Mi sembra quasi di essere con mia madre! Questa signora premurosa mi tratta come se fossi un bambino! Comunque seguo il suo consiglio, e mi siedo accanto a lei.
Non sono una persona molto socievole, anzi, vengo definito abbastanza “orso”, ma con questa vecchietta mi sento a mio agio, e cominciamo a chiacchierare del più e del meno. Come in tutti i discorsi che si fanno con qualcuno che non si conosce cominciamo a parlare del tempo, del caldo che fa, del freddo che faceva fino a poco più di un mese fa, del fatto che non ci sono più le mezze stagioni. Le racconto anche del mio lavoro, e del mio imminente viaggio. Sentendo parlare dell’aereo il sorriso della signora si spegne: “Ma non ha paura sapendo di essere così in alto? Io non mi fido di queste cose. Come disse qualcuno, se l’uomo fosse fatto per volare sarebbe nato con le ali!”
“Signora”, rispondo io, “ormai sono anni che si vola, ed è comunque più sicuro viaggiare in aereo che in macchina”
“Certo, l’aereo è più sicuro, ma non il suo volo di domani! Non parta, rimandi di un giorno!”
Il tono di voce mi coglie alla sprovvista. Improvvisamente mi rendo conto che la vecchia non sembra avere tutte le rotelle a posto. Una persona sola trovo nel parco e deve per forza essere la discendente stonata di Nostradamus?
Un senso di disagio mi assale: improvvisamente mi rendo conto che ho raccontato alla vecchia tutto di me, mentre lei ha smesso di parlare una volta terminata la rubrica “che tempo fa”, ed ha ripreso solo per la rubrica “catastrofi imminenti”.
Guardo la pietra dove ho lasciato le scarpe, che sono ormai asciutte, e butto lì una scusa per allontanarmi dal parco.
La vecchia sembra un po’ rasserenata e mi saluta con la mano, dicendomi “Sono contenta che abbia deciso di seguire il mio consiglio”.
Mentre torno a casa ripenso alla strana vicenda, e mi viene quasi da ridere. Ma da dove è uscita questa? Eppure aveva un chè di familiare!
Arrivo davanti all’ingresso delle scale, nonostante il caldo torrido non ho sudato, ma le scale riescono nell’intento: ad ogni gradino, man mano che salgo, l’aria si fa sempre più afosa, e quando arrivo al mio pianerottolo del sesto piano la maglietta è diventata una seconda pelle.
Pazienza, farò un’altra doccia.
Entro nell’appartamento minuscolo, ma sufficiente per un single come me, e lancio la maglietta nella cesta della biancheria sporca. Nel bagno c’è ancora il vapore della doccia di questo pomeriggio, devo decidermi ad aggiustare la ventola dell’aspiratore, o qui comincerà a marcire tutto.
Mentre apro il rubinetto sento un rumore nell’altra stanza… sembra il televisore. Non è possibile: non l’ho acceso e inoltre ieri sera, prima di uscire per il turno di notte, avevo staccato il cavo dell’antenna perché il cielo minacciava un forte temporale, che poi non è arrivato. Ma i fatti mi contraddicono: il televisore è acceso, e mostra le immagini di un aereo spezzato in due, avvolto nelle fiamme sulla pista di decollo di Fiumicino, mentre il cronista commenta: “E’ ancora in corso il conto delle vittime del disastro aereo di questa mattina. Il volo FR650, con destinazione Parigi, si è schiantato per cause ancora da scoprire durante il decollo dall’aeroporto di Roma Fiumicino. Per l’impatto l’aereo si è spezzato in due, e tra i passeggeri dei posti centrali non ci sono sopravvissuti. Gli addetti stanno ancora cercando tra le macerie la scatola nera, che permetterà di scoprire la dinamica dell’incidente”.
Però, la vecchia ci aveva quasi azzeccato: quello era il volo che avrei dovuto prendere io per poi andare a New York, e inoltre al check in cerco sempre di farmi dare i posti centrali. Ma è anche molto probabile che lei abbia già visto la notizia nel TG del mattino e le sia solamente rimasta impressa.
Rimango a guardare le immagini catastrofiche, mentre nella doccia l’acqua continua a scrosciare.
Sullo schermo continuano a passare visi stravolti dall’incidente, barelle che corrono nelle vicinanze dell’aereo e tornano indietro col loro carico di disperazione, come è diventata ormai consuetudine dei nostri telegiornali. Il dolore e lo strazio fanno sempre audience.
Terminata la notizia rimango ancora allibito davanti al televisore, fino a che iniziano le previsioni del tempo. Come sempre si comincia con la serata di oggi, 7 agosto.
SETTE AGOSTO? Per un attimo il cuore salta qualche battito… mi giro verso la sveglia che conferma la data indicata dal televisore.
L’aereo… la vecchia… aveva ragione! Ma… come è possibile? Guardo nuovamente la sveglia, che questo pomeriggio segnava un giorno in meno. In qualche modo un giorno della mia vita è scomparso. Possibile che la vecchia…? Non riesco a capacitarmi di cosa sia accaduto: un giorno, 24 ore della mia vita sono svanite nel nulla… ma grazie a questo la mia vita sta continuando…
E d’improvviso mi viene in mente il motivo per cui la vecchia mi sembrava tanto familiare: vado a cercare nei cassetti il vecchio album di famiglia… lo sfoglio, ed ecco la foto di mia nonna, mancata poco prima che io nascessi, che mi sorride con la stessa aria sorniona della vecchietta del parco.
Tutto questo è pazzesco, sento il cuore che batte all’impazzata e mi sento soffocare. Mi affaccio alla finestra per prendere una boccata d’aria: lungo la via stanno circolando alcuni passanti, e qualche auto corre come se fosse a Maranello approfittando delle strade vuote. Si sentono i rumori dello scarso traffico, dei passanti, dei lavori in corso nella via parallela. In lontananza, in direzione dell’aeroporto, si vede una nuvola di fumo scuro che lentamente si dissolve nell’aria.



Torino, 31/03/09

martedì 5 maggio 2009

UN PO' DI ME

Due parole su di me: sono nato nel lontano 1971, ed ho sempre avuto molta fantasia e creatività.
Ho cominciato con le mitiche LEGO: appena me ne regalavano una scatola costruivo il soggetto con le istruzioni, ci giocavo un po' e poi via, smontato e mischiati i pezzi con quelli di altri soggetti, dentro un bidone del Dixan (esistono ancora i bidoni?). Poi rovesciavo il tutto su di un giornale sul pavimento (il giornale serviva per ributtare più in fretta i pezzi nel bidone) ed andavo di fantasia. Sfruttando anche i pezzi della seria Technic (avevo l'elicottero, il trattore e la macchina con sterzo funzionante e pistone che si muoveva su e giù) avevo costruito una giostra con 8 navicelle che si sollevavano per la forza centrifuga, poi con un secondo motorino la giostra si alzava di 90 gradi. Avevo costruito anche un robottino filoguidato, con la testa un po' copiata da Numero 5 di Corto Circuito, che andava dritto quando viaggiava in avanti e sterzava automaticamente con la retromarcia. Mi spiace solo che ai tempi non esistessero le fotocamere digitali, altrimenti avrei una bella raccolta di foto.
Altra mia passione era disegnare, soprattutto Disney, ma anche qualche soggetto a richiesta. Mi avevano dato una bella soddisfazione un'immagine di Marilyn Monroe fatta per i menu di una birreria e la locandina per la festa della mamma fatta per un ristorante.
Alla mia Prima Comunione, tra gli altri regali, ricevetti un libro, cosa per me ancora sconosciuta. Era "I tre moschettieri", di Dumas. Dopo averlo tenuto lì per un po' mi sono deciso a leggerlo, non perchè ne fossi attirato, ma principalmente per poter rispondere alla zia che me l'aveva regalato quando mi avesse chiesto se mi era piaciuto. Lo divorai in poco tempo, e da lì cominciai a leggere, in principio i classici per ragazzi, per poi passare a Jules Verne, Asimov, Stephen King, Clive Barjer, Robin Cook, Wilbur Smith...
Con la lettura nasce anche piano piano la voglia di scrivere. La prima cosa che scrissi fu un racconto fantascientifico in cui degli alieni venivano a conquistare la Terra: dopo qualche pagina cominciai a rompermi e in quattro e quattr'otto i terrestri vinsero e gli alieni tornarono a casa loro!
Il primo racconto apprezzato anche da altri l'ho scritto durante l'anno di naja, descrivendo appunto la mia esperienza, in maniera piuttosto ironica e accompagnato da disegni esplicativi. Al Comando Regione Militare Nord Est di Padova esiste ancora una copia del racconto, richiestami espressamente dal Colonnello.
Poi ho scritto resoconti di vacanze fatte, apprezzati anche da chi la vacanza non l'aveva vissuta con noi.
E un giorno mi è venuta un'idea per un vero racconto, inventato, intitolato "L'esperimento", scritto in pochi giorni. Un mio cugino, dopo averlo letto mi ha chiesto se poteva inviarlo ad un concorso, e così mi sono ritrovato vincitore, con tanto di pubblicazione del mio scritto sulla rivista - libro "inEdito". La cosa buffa è che ero stato invitato ad una serata aperta a scrittori e lettori, nella quale altre persone, che evidentemente volevano fare dello scrivere una professione, parlavano di tecniche di scrittura e cose simili di cui io non capivo nulla. Per tutta la serata mi sono sentito un perfetto ignorante, ma la soddisfazione di aver vinto un concorso in mezzo a tutti quei "colti" era troppo grande.
Non ho molto tempo da dedicare, ma quando riesco mi piace scrivere un po' di tutto, compresa la storia della nascita rocambolesca della nostra piccola Nadia.
Ma ora basta così, utilizzerò il blog per inserire i miei racconti / scritti.
Se scrivete commenti mi raccomando... cercate di non distruggere il mio amor proprio!