martedì 3 agosto 2010

L'autostoppista

Relax.
Finalmente è finita la settimana lavorativa… già uscendo dall’ufficio mi sembra di essere in vacanza, anche se in realtà lunedì la mia scrivania mi aspetta di nuovo per un’altra settimana.
Questa settimana è stata breve: mi sono preso il venerdì di vacanza, per andare a raggiungere mia moglie e la mia bimba al mare, dove stanno soggiornando già da una settimana.
Purtroppo più di questo non posso fare: per grazia ricevuta mi hanno concesso il venerdì, in modo da poter correre da loro almeno per il week end.
Questa mattina sono uscito già con il borsone in macchina. Non ho bisogno della valigia per due giorni. Ho più bagaglio di cose che mi ha richiesto mia moglie che di effetti miei personali.
Non torno nemmeno a casa: non vale la pena farsi una doccia per poi farsi più di due ore in macchina. Recupero così mezz’ora abbondante, perché ho l’ingresso in autostrada vicino al lavoro. Appena arrivato in albergo farò la doccia.

Esco dall’edificio, e un cielo scuro e minaccioso mi accoglie. Sembra chiedermi se davvero sono convinto di andare al mare, ma il mare è l’ultimo mio pensiero. L’importante e rivedere le mie donne, che da lunedì sento solo per telefono, e vedere cosa ha imparato di nuovo la mia piccola principessina. Sta imparando a parlare, e ogni giorno riesce a farsi capire un po’ meglio.

Questa mattina non ho trovato parcheggio vicino; affretto il passo per arrivare all’auto prima dello scatenarsi del temporale, mentre il vento fa danzare agli alberi una danza indemoniata e solleva in mulinelli tutta la sporcizia della strada.
Appena entro in macchina tiro un sospiro di sollievo: sono riuscito a non bagnarmi.
Ma il cielo non sembra voglia mettere in pratica la sua minaccia: dopo un quarto d’ora che sto guidando ancora non è scesa una goccia d’acqua, mentre il vento continua, e gioca con la mia piccola utilitaria.

Ho quasi raggiunto l’ingresso dell’autostrada, il cielo è sempre più nero. All’improvviso una macchia di colore che risalta come un neon: un autostoppista con una giacca ARANCIONE è appoggiato al cartello che indica l’inizio dell’autostrada, proprio sotto il segnale che intima NO AUTOSTOP. Ma lui è qualche centimetro prima del cartello, quindi ancora in regola, no?
Da che ho la patente non ho mai raccattato un autostoppista. Gli ultimi che ricordo sono due alpini in divisa che aveva fatto salire mio padre in macchina quando ancora ero piccolo, quando ti potevi ancora fidare del prossimo.
Questo però è diverso: ha un’aria innocente (anche i serial killer ce l’hanno, mi dice la mia parte razionale) e sembra veramente bisognoso di aiuto. Il suo pollice alzato tradisce un certo imbarazzo, come se non avesse mai fatto una cosa simile e solo qualche emergenza lo costringesse a chiedere l’aiuto di qualcuno. A giudicare da come si stringe la giacca infreddolito sembra che sia già lì da un po’ di tempo.
Alla fine mi fermo, contrariamente a tutti i miei principi, davanti a questa giacca che fa a botte col cielo plumbeo alle sue spalle, e gli chiedo dove è diretto. Anche lui va verso la Liguria, a trovare la figlia che gli ha appena regalato il suo primo nipotino. La sua fedelissima auto però ha deciso di non partire proprio oggi, e lui non vede l’ora di ammirare l’erede, così ha deciso di provare l’autostop.

Fa in tempo a chiudere la portiera e cominciano a scendere le prime gocce, che velocemente aumentano di diametro e di intensità fino a diventare un muro d’acqua che limita notevolmente la visibilità. Prima di ripartire mi chiedo ancora una volta se ho fatto la mossa giusta. Osservo il mio passeggero di sottecchi. Dimostra una cinquantina di anni, capelli ancora castani, con poche spruzzate di grigio. Il viso ha una strana aria rassegnata, come se non si aspettasse più nulla dalla vita. Fortunatamente si è tolto la giacca e l’ha buttata sul sedile posteriore, altrimenti il suo riflesso sul parabrezza non mi avrebbe certamente agevolato con questo tempo.
Nonostante siano solo le 18,30 sembra già notte, e la settimana lavorativa tutt’altro che tranquilla comincia a farsi sentire. Sento le palpebre pesanti, e sono felice di avere un compagno di viaggio con cui scambiare quattro chiacchiere.
Mi racconta di sua figlia, trasferitasi a Genova per lavoro e poi stabilitasi lì definitivamente dopo aver trovato l’amore. Poco dopo pranzo la telefonata: “Auguri! Sei diventato nonno di Aurora!”. Mi confessa di aver versato una lacrimuccia. Poi di corsa al garage, dove la sua Volkswagen ha deciso di mettersi a scioperare proprio oggi, dopo anni di servizio senza mai un problema. L’auto non dava segni di vita, probabilmente la batteria, ma a luglio trovare un elettrauto può cominciare a diventare un problema. L’unico che è riuscito a contattare telefonicamente si è presentato da lui dopo un paio d’ore, con la sua sala operatoria portatile per fare il check completo dell’impianto elettrico. Non era la batteria, ma una scheda, che naturalmente l’elettrauto non aveva in casa.
“Riesco a procurarla per lunedì”, ha sentenziato, con l’aria di chi ti sta facendo un favore.
A questo punto il mio passeggero ha preso una decisione stoica: memore delle avventure di gioventù ha deciso di provare a viaggiare “col dito”, sperando di trovare qualche anima pia.
Una l’ha trovata, e l’ha portato fino all’inizio dell’autostrada; la seconda sono io.
A mia volta gli racconto della mia bimba di due anni, dei progressi continui nel parlare. Lasciamo perdere il camminare: ormai si sente talmente sicura di se che si fa male più di prima!
Terminati i rispettivi racconti cala il silenzio, lui si accomoda sul sedile rilassandosi, e io mi dedico interamente alla guida.
L’auto corre, non come vorrei, ma con questa visibilità scarsa è meglio non esagerare. L’acqua rende indistinte le strisce che mi vengono incontro veloci per poi scomparire alle mie spalle, con un ritmo continuo quasi ipnotico.
Accendo la radio, per coprire il monotono rumore del tergicristallo, ma la mia mente continua a seguire il suo moto perpetuo.
Spazzola… striscia… striscia… spazzola… striscia… striscia… spazzola… il tutto visto attraverso una cascata d’acqua sul vetro.
Il mio compagno mi richiama alla realtà chiamandomi per nome (ma quando glie l’ho detto? Non mi pare di essermi presentato… proprio non mi era passato per la testa), e d’un tratto mi accorgo di aver inconsciamente aumentato la velocità: la lancetta segna 150. Tra gli spruzzi d’acqua si vedono riflessi di luci blu e arancioni; il piede scatta fulmineo sul pedale del freno, e l’ABS fa il suo dovere a puntino, arrestando la macchina a pochi metri dalle quattro frecce lampeggianti di un furgone.
Attivo immediatamente anche i miei lampeggianti, buttando un occhio allo specchietto retrovisore per assicurarmi di aver evitato il danno. Anche l’automobilista dietro di me si ferma, con un margine maggiore rispetto al mio. Probabilmente era più sveglio di me.
Fortunatamente il mio passeggero, nonostante all’apparenza si stesse addormentando, era ben più vigile di me ed è riuscito ad evitare il peggio.
Cosa sarà successo? mi chiedo mentre la pioggia martella i tetti di un mare di auto e furgoni, tutti fermi senza sapere il motivo dell’arresto.
“Un incidente, e brutto, a giudicare da quanti lampeggianti si vedono laggiù”, mi informa il mio passeggero.
Dopo circa venti minuti la pioggia scema di colpo, come era iniziata, e molti automobilisti escono dalle loro tane come tanti animaletti del bosco. Tra le pozzanghere tutti allungano il collo per cercare di capire cosa sia successo, ma a questa distanza si vedono solamente i lampeggianti. Alcuni blu sono piuttosto alti, probabilmente ambulanza e vigili del fuoco.
Il mio compagno ha l’aria più rassegnata di prima, e tento di riprendere un po’ di conversazione ringraziandolo per avermi scosso dal mio torpore.
“Se fossi stato da solo non avrei sicuramente notato le auto ferme… a quella velocità avrei rischiato grosso!”
“Almeno lei potrà rivedere la sua bambina!”, risponde lui.
“Beh, ora non disperiamo… prima o poi riusciremo a ripartire!”
“Sono felice di esserle stato di aiuto, ma mi spiace non poter vedere il mio nipotino…”
Detto questo si riappoggia al sedile, contro il vetro, lasciando cadere nuovamente la conversazione.
Certo che è un tipo strano… tutta questa tragedia per un ritardo. Anche io sono impaziente di rivedere mia moglie e mia figlia, ma non la faccio così tragica!
Visto che la conversazione langue scendo dall’auto, e mi unisco al gregge di automobilisti che passeggia sulla strada. L’aria è rinfrescata parecchio. L’asfalto bagnato riflette i pochi fari ancora accesi… qualcuno li ha dimenticati, qualcun altro li ha lasciati accesi insieme al motore, per poter godere dell’aria condizionata.
Mi allontano dall’auto con l’illusione di poter capire cosa sia successo, ma i lampeggianti sono lontani, si vedono solo perché ormai è buio, e il mare di auto copre la visuale.
Ad un tratto il miracolo: in lontananza vedo le auto riprendere vita, i fari si riaccendono e piano piano cominciano a spostarsi, in una lenta transumanza.
Corro verso la mia auto, come se dovessi partire all’istante, anche se ci vorrà ancora qualche minuto prima che il movimento arrivi fino a me.
Al mio rientro in auto la sorpresa: il sedile del passeggero è vuoto, e la giacca arancione è scomparsa. Ad essere sincero noto prima l’assenza della giacca, con quel colore assurdo.
Mi chiedo se sia andato a fare due passi anche lui per sgranchirsi le gambe, scendo nuovamente e mi guardo intorno, ma del mio compagno di viaggio non c’è traccia. Possibile che abbia chiesto il passaggio a qualcun altro?
Ora le auto davanti a me stanno cominciando a muoversi, e non posso più aspettare, pena numerosi colpi di clacson e maledizioni varie dagli altri automobilisti.
Ingrano la prima e parto, sperando che lui abbia trovato qualcuno, magari un conoscente, e abbia cambiato mezzo di trasporto.
Lentamente, a passo d’uomo, mi avvicino al luogo dell’incidente. Le auto vengono incanalate nella corsia opposta, perché la nostra è ancora ingombra di rottami. Un camion è ribaltato su un fianco, bloccando interamente la corsia. Il carico disseminato ovunque. Dietro il pesante autoarticolato alcune macchine completamente distrutte. A terra un’unica vittima… la sua giacca arancione spicca nel buio come un faro…